Data : 14/09/2014 – 15/09/2014
Il Thabor è stato conquistato. O forse lui ha conquistato noi, molto più probabile. (Raccontato in Thabor: silenzio a 3.000 metri – PARTE 1)
“Quando si affronta la montagna, è importante amarla. E per tornare vivo è importante essere amato dalla montagna.”
Jirō Taniguchi
Uno spettacolo mozzafiato, ma dobbiamo tornare giù. Ci godiamo gli ultimi momenti da soli in cima, noi, qualche corvo ed il silenzio più totale, e poi via, zaino in spalla e si comincia a tornar giù. La strada scorre veloce sotto i nostri piedi, sappiamo che non sarà una brevissima passeggiata e speriamo di arrivare in tempo al rifugio per la cena, anche se non siamo sicuri che avranno posto per noi.
Ci si ferma solo per qualche breve istante, una foto ricordo prima di svoltare e perder di vista la cima. Nonostante il sole sia ancora alto, il pomeriggio porta un’arietta fresca che rende più facile la discesa.
Al bivio dove stamattina abbiamo lasciato il nostro amico, svoltiamo sul sentiero che ci porterà prima al lago Peyron e solo dopo al rifugio del Thabor, che è ora la nostra nuova meta. Il paesaggio è fantastico, come d’altronde sempre in questa meravigliosa vallata, e un po’ il nostro passo, rallentato dalla fatica accumulata stamattina, un po’ le ombre che si allungano veloci, non ci permettono di ammirare il lago Peyron nel massimo del suo splendore, con il suo azzurro sfavillante.
Riusciamo ad intravederne solo un piccolo spicchio prima che l’ombra lo ingrigisca del tutto, ma basta questo per farci ripromettere di tornare per goderci lo spettacolo.
E poi dopo ancora prati, pascoli e verde. Su e giù per innumerevoli piccoli colli e collinette, prima la veloce e ripida discesa verso il lago, poi la lunga strada verso il Colle della Valle Stretta, dove sappiamo che ci aspetta un piccolo laghetto e la croce a segnalare il passo.
La giornata, che ben prometteva fin dall’inizio, ci regala fino all’ultimo raggio di sole i colori accesi della montagna: immersi in mille sfumature di verde, dove le marmotte corrono veloci e fischiano la nostra presenza, sopra di noi il cielo azzurro e terso e solo nel tardo pomeriggio qualche nuvola comincia a farsi avanti.
Ci godiamo il sentiero pianeggiante che ci riporta verso il colle, sapendo che ci aspetta un’ultima fatica prima di arrivare e, finalmente, riposarci. La montagna sa essere veramente dura, e a questo punto cominciamo a capire cosa voglia dire andarsene in giro con tutte le comodità nello zaino: tanti, tanti chili in più che diventano ad ogni passo più pesanti. Il pensiero di accendere un bel falò con tutto il superfluo -due fornelletti?!? Il caricabatterie?!? Mi chiedo ancora perchè- è forte.
I minuti scorrono veloci, e sappiamo che per avere un pasto caldo, ma più che altro al caldo, dobbiamo arrivare entro le sette, e allora decidiamo per quella che dovrebbe essere una scorciatoia, un sentiero poco segnalato prima di raggiungere il colle, che ad intuito dovrebbe portarci direttamente al Lac Rond, tagliando il giro intorno alla collina.
A conti fatti, l’intuizione era giusta, arriviamo in effetti direttamente al rifugio…solo, però, diversi metri più in alto, giusto in cima alla pietraia che ripara il pianoro su cui si trova il rifugio. Veniamo accolti da sguardi incuriositi e non molto di approvazione da parte degli altri ospiti, che ci guardano tentare un’improbabile discesa dalla pietraia.
Ora siamo definitivamente distrutti, ma in perfetto orario per la cena. Ci godiamo la zuppa e la salsiccia, ma dobbiamo subito correre a montare la tenda. Il tempo di mangiare ed è subito buio, e come se non bastasse le nuvole sono salite veloci da fondo valle ed ora ci troviamo immersi in una nebbia umida. Montiamo veloci la tenda poco lontano dal lago, sull’unico spiazzo disponibile, e con le ultime gocce di calore accumulate mangiando, ci fiondiamo a dormire. Sono da poco passate le nove, ma il tempo di addormentarsi è di appena qualche secondo. I libri messi nello zaino per passare la serata si rivelano una parte di quel peso inutile che ci siamo portati dietro.
Il risveglio, al contrario della buonanotte, è fenomenale. Due presunti corridori d’alta quota passano a passo pesante fuori dalla tenda, e dopo dieci ore di sonno è tempo di alzarci. Il massiccio dello Cheval Blanc ci guarda dall’alto mentre facciamo colazione, un bel tè caldo in riva al lago.
Non c’è fretta, la strada del ritorno non è così lunga e abbiamo tutto il giorno a disposizione. Tenda e sacchi a pelo hanno superato eccellentemente la notte in quota, e gli sbagli commessi a Punta dell’Aquila, che ci avevano fatto passare una lunga e fredda nottata, sono serviti da buon insegnamento. Non c’è modo migliore di imparare che sbattere il naso contro l’evidenza dei propri errori.
Ci godiamo la vista, assistendo ai preparativi della partenza di chi ha trovato posto al rifugio, e ai ragazzi che smontano il tutto. E’ stata, infatti, l’ultima notte di apertura: da oggi e fino alla prossima primavera niente più pasti caldi, il rifugio diventa un bivacco per tutto l’inverno.
Con tutta calma, le gambe ancora indolenzite per i tanti chilometri percorsi ieri, ci rimettiamo in marcia, decidendo di ripercorrere la strada che avevamo già fatto in occasione della nostra inaspettata visita quassù la scorsa settimana. L’idea di tornare al lago Peyron è velocemente dimenticata, la ripida salita per arrivarci ci fa desistere velocemente, e ci accontentiamo -si fa per dire- del sentiero del ritorno, tanto simile ai paesaggi de Il signore degli Anelli, e anche se sappiamo che è stato girato in Nuova Zelanda, qualche dubbio ancora ci viene viste le somiglianze.
L’ultima tappa durante la discesa è il lago dei girini -così l’abbiamo ribattezzato, inutile spiegarne il perché- da cui già una volta abbiamo scattato foto favolose, e che ha un suo fascino veramente particolare: la posizione, a strapiombo sulla valle e incorniciata dalle vette, è veramente speciale.
Ultimo spuntino, con quel poco che ci è rimasto -sì, la montagna mette fame, molta molta fame- e di nuovo sul sentiero verso le Grange.
L’ultima vera tappa è il nostro classico acquisto di formaggi e prodotti locali, che fanno difficoltà ad arrivare a casa. Ci godiamo un po’ di gorgonzola e una bella bibita fresca con i piedi a bagno nel fiume che scorre a fondo valle, e poi è veramente ora di andare. Il pranzo lo faremo a casa, comodamente seduti a tavola e con il divano ad aspettarci, ma questa avventura ci rimarrà in testa per molto tempo, nella speranza di ripeterla presto, da qualche altra parte, ma presto.
Chi più alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna.
Walter Bonatti
AP
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