Data trekking: 22/02/2015
quota di partenza (m): 1450
quota vetta (m): 1834
dislivello complessivo (m): 384
Accesso:
Autostrada o Statale (molto meno cara) fino a Bardonecchia. Parcheggiare la macchina a Pian del Colle.
Che strano vedere la nostra vallata preferita completamente dipinta di bianco, ricoperta da uno strato corposo di neve fresca.
Eppure è così, la verde e lussureggiante Valle Stretta, per diversi mesi l’anno, è bianca e dai suoni ovattati.
Andiamo alla ricerca di qualche ora a spasso tra alberi e neve, in un orario non proprio comune – partiamo ampiamente dopo pranzo – in modo da fermarci a mangiar su per cena, sperando di evitare l’affollamento tipico di queste belle giornate di fine inverno.
E’ un po’ strano incamminarsi già da qui – ancor prima della diga – e inizialmente ci intestardiamo a non voler usare le ciaspole, essendo la strada ben battuta da migliaia di piedi prima di noi e, ancor prima, dal gatto delle nevi.
Percorriamo il breve tratto che porta ai tornanti, superiamo la diga, poi comincia la leggera salita. Tagliamo le curve in mezzo al bosco, e non saprei dire se facciamo una scorciatoia o ci appesantiamo le gambe con la neve poco battuta.
Superato l’ultimo tornante, la strada si apre ed entriamo nella valle vera e propria, così diversa dalla versione estiva, tutta verde e piena di profumi di piante e fiori.
Anche il solito rumore del fiume, che accompagna ogni istante trascorso in Valle Stretta, è attutito ed a tratti assente, un po’ per la portata decisamente ridotta, un po’ per alcuni tratti gelati e, soprattutto, per la neve che ovatta tutti i suoni.
C’è quasi silenzio, solo un leggero fruscio della brezza tra gli alberi.
Passa del tempo prima di incontrare i primi gruppetti di turisti, già in fase di rientro – per fortuna sono molti, vuol dire che su ne rimangono pochi – famiglie con bambini, gruppi di amici con la pancia piena dal pranzo, solitari della montagna che hanno approfittato del sole, ce n’è per tutti i gusti.
Arrivati alle Grange, è strano vedere le cime del Grande e del Piccolo Seru innevate, la punta tonda del Monte Thabor irriconoscibile sotto lo spesso manto di neve.
Decidiamo di fare un salto al Rifugio Terzo Alpini per prenotare la cena e bere un caffè caldo, visto che sì, c’è il sole, ma la temperatura è invernale.
“Il segreto per vivere a lungo è: mangiare la metà, camminare il doppio, ridere il triplo e amare senza misura.”
Proverbio cinese
Prenotata la cena, rigorosamente servita alle sette in punto, fuggiamo dalla calca che troviamo all’interno, nella speranza di non trovare nessuno al nostro ritorno.
Ciaspole ai piedi – la neve, da qui in avanti, è meno battuta e si affonda di più, le ciaspole sono obbligatorie – ci allontaniamo dal gruppo di case, già immersi nell’ombra nonostante sia ancora abbastanza presto.
La Valle Stretta è spettacolare anche guardando verso Bardonecchia, confortevolmente circondata dalle alte pareti di roccia che danno un senso di protezione.
La nostra destinazione è il Lago Verde, che di verde, immaginiamo, avrà ben poco ormai; una delle uniche mete a portata di gambe nelle due ore che ci rimangono prima della cena.
La camminata si fa più impegnativa rispetto a prima, niente di eccessivo, ma la piccola salita verso la casetta e, più avanti, la collina per raggiungere il Lago Verde, scaldano le gambe.
Non che questo ci fermi, anzi, una piccola sfida ci voleva, quello che un po’ ci impensierisce è il nuvolone minaccioso che sta arrivando dalla Val Frejus e che comincia a coprire il massiccio del Seru.
Deviato a destra al bivio, irriconoscibile non fosse per il cartello con le indicazioni, seguiamo la traccia che porta al ponticello ed alla collinetta che nasconde il lago.
L’anonimo ponte che in estate permette il salto del piccolo fiume, ora è una meraviglia. Ricoperto di neve, con un piccolo rivolo d’acqua che scorre tra le rocce ghiacciate e i cumuli di neve, sotto il leggero nevischio che cade dagli alberi ad ogni folata d’aria, si ha la sensazione di essere in un luogo magico.
Incurante del pericolo di scivolare nell’acqua – saranno anche solo una decina di centimetri, ma scommetto che è un tantino gelida – mi avvicino il più possibile alla sponda, tentando, invano, di recuperare un grosso ghiacciolo appeso alla roccia.
Infine, ci manca solo la collinetta da superare e la discesa. Probabilmente nessuno è ancora sceso fino alla riva, il sentiero finisce in sulla cresta, così dobbiamo scendere a tentoni nel metro e più di neve fresca, scivolando col sedere a terra più volte, ma divertendoci come bambini.
Arrivati giù ed usciti dal folto del bosco, il Lago Verde non c’è più. Ormai è una grande distesa bianca, così diversa e, se vogliamo essere sinceri, meno affascinante, rispetto alla versione estiva dai vividi colori.
Ben conoscendone le sponde, ci avventuriamo fin dove sappiamo esserci terra sotto i nostri piedi, non arrischiandoci a camminare sullo strato ghiacciato.
La conca solitamente dipinta di ogni sfumatura di verde, oggi, è solo una desolata landa bianca. Manca un po’ di quella meraviglia dell’intricato gioco di rami sott’acqua.
Finita la sessione di fotografia, decidiamo di incamminarci verso il rifugio, non senza qualche difficoltà nel risalire fino alla cresta, immersi fino alla vita nella neve fresca.
Il tempo è cambiato parecchio, come spesso succede in montagna, in inverno soprattutto. La tersa giornata di sole ha lasciato il passo ad un vento incredibile ed un nuvolone che, per nostra fortuna, pare essere intrappolato tra la Val Frejus ed il massiccio del Gran Seru.
Decidiamo di percorrere l’altro sentiero che porta ai rifugi, quello che corre più in alto e non a fondo valle, scendendo solo all’altezza delle Grange.
Non siamo proprio preparati a questo vento gelido, e ci arrangiamo come si può: alle volte una maglietta può trasformarsi in un ottimo scalda collo.
[/fusion_builder_column]Raggiunto il rifugio, ci godiamo il calore già dall’entrata, dove un caldo caminetto asciugherà i nostri scarponcini umidi.
Ci prepariamo ad un’ottima e solitaria cena, essendo gli unici clienti della serata. Tra una chiacchiera con il gestore, un ottimo aperitivo ed una polenta concia con camoscio oltre ogni aspettativa, passiamo una serata perfetta, calda e piacevole, e rinunciamo perfino al dolce nonostante le ottime proposte, la pancia ormai al limite della sopportazione.
Non aspettiamo a lungo per rimetterci in marcia verso la macchina, il vento sembra tirare sempre più forte e noi non abbiamo vestiti sufficientemente caldi per coprirci. Per fortuna, le nuvole si son fermate là dov’erano ed il cielo è terso, le stelle miliardi, manca solo la luna.
Infilato addosso tutto quello che avevamo negli zaini – ovvero una maglia di ricambio e la calzamaglia in pile – ci prepariamo all’oretta di rilassante passeggiata al freddo.
L’uscita è traumatica, passare dal tepore interno al gelo esterno, con la pancia piena, non è una gran bella esperienza. Ma lo spettacolo che ci attende sopra le nostre teste, ripaga del freddo che stiamo prendendo.
Inoltre, superato il primo tratto di strada ed al riparo dagli alberi, il vento cessa quasi del tutto, e possiamo goderci questa romantica passeggiata notturna – sono le otto passate da poco, ma non importa – al chiar di stelle, fino alla diga.
Ci fermiamo un po’ all’altezza della diga e poi ancora qualche metro prima di arrivare alla macchina.
Il cielo e la montagna illuminata dai fari della diga, sono uno spettacolo davvero incredibile. La montagna innevata riflette la luce e sembra quasi giorno. Nonostante la mancanza della luna, accendiamo la torcia solo un paio di volte, nel bosco, più per sicurezza che per necessità.
“Niente mi rende così felice come osservare la natura dipingere quello che vedo”
(Henri Rousseau)
Poi comincia a far davvero freddo, un buon monito per la prossima volta: meglio lo zaino leggermente più pesante, ma tutto il necessario per coprirsi.
La nostra serata romantica, inaspettata, finisce qui, la Valle Stretta ci saluta con uno spettacolo fantastico. Torneremo presto, sicuramente, e magari sarà ancora tutto bianco.
AP
Scrivi un commento