Quante chiacchiere ieri sera, mezze soffocate dal fumo della stufa che non ne voleva sapere di bruciare senza affumicarci. Chiacchiere sulla vita di tutti i giorni a Torino ed in giro per il mondo, in paesi neanche troppo distanti a ben vedere, ma così differenti dal nostro.
Ci svegliamo sotto un sole spendente, un cielo terso ed una giornata decisamente calda. Da quello che abbiamo potuto vedere ieri, questa è una vallata che gode del sole per poche ore ogni giorno, soprattutto in inverno, quindi ce la prendiamo comoda aspettando che i primi raggi ci raggiungano.
Sistemato il rifugio Noaschetta, dove lasciamo gli zaini durante la nostra escursione, ben riposati, ci mettiamo in marcia, per esplorare il vallone Noaschetta.
Ci avviamo lungo il sentiero che si infila nel vallone. Purtroppo non abbiamo cartine che coprano questa zona, quindi ci affidiamo a quella in dotazione nel rifugio, non precisissima, ma che almeno ci da’ un’idea di dove andare per raggiungere il colle.
“In ogni passeggiata nella natura l’uomo riceve molto di più di ciò che cerca.”
Hohn Muir
Passiamo sotto quelle che somigliano vagamente alle Tre Cime di Lavaredo, davvero imponenti alla nostra sinistra, in relatà si tratta del Monte Castello 2612m
Il sentiero, almeno inizialmente e fino a raggiungere l’ampio vallone, non è difficile né molto ripido, ma il nostro amico fatica fin da subito, non abituato alle camminate in montagna, nella neve, ed a poco vale la sua voglia di andare avanti: le gambe son diventate pesanti ed ogni passo è una fatica.
Non appena si comincia a salire e la pendenza aumenta, la sua gita arriva al termine. Meglio non rischiare infortuni, soprattutto perchè ci aspetta una passeggiata abbastanza lunga per scendere, più tardi, e bisogna conservare le energie per tornare indietro.
Ci prendiamo tutti una pausa, approfittandone per un piccolo spuntino, poi il gruppo si divide: il nostro amico decide di attenderci mentre si gode il sole ed il panorama, mentre noi proseguiamo ancora un pezzo.
Ci dirigiamo così verso l’Alpe Arculà, non manca molto, solo alcuni tornanti in salita per raggiungere il piccolo colle. Vediamo già in alto le piccole costruzioni, alcune diroccate, altre che sembrano più recenti.
Poi tutto scompare, coperto dalla montagna, e ci si rivela solo dopo l’ultima curva. Scopriamo che la costruzione più recente non è un bivacco, bensì un ricovero di servizio del Parco Nazionale del Gran Paradiso, il Casotto Arculà, situato a 1.894 metri. Ne approfittiamo per una piccola sosta al sole, sulle panchine del terrazzino, che godono di una vista emozionante.
I panini nello zaino, il formaggio ed il prosciutto, sono una tentazione troppo forte, e vengono divorati in fretta. Dopodichè, Roberto decide di tornare a prendere il nostro amico e riportarlo, con calma, al rifugio Noaschetta, dove ci aspetteranno durante una merenda ed un riposino ristoratore, pronti per il ritorno alle macchine.
Noi, carichi della bella giornata, le gambe ancora troppo fresche per decidere di tornare indietro, ritroviamo il sentiero e ci incamminiamo verso l’alto, superando la diga, dove, rischiando un bel bagno, riusciamo a riempire la borraccia di acqua fresca.
Il sentiero che stavamo seguendo dal casotto, a poco a poco, si perde sotto la neve, e rimane solo una vaga traccia che sembra delinearsi tra le rocce.
Speriamo sia la via giusta e continuiamo a salire, facendo traccia un po’ a testa per non stancarci troppo. La neve non è più come a valle, bagnata e battuta, ora camminiamo su un manto fresco in cui si sprofonda facilmente di almeno dieci centimetri ad ogni passo, e di traccia battuta non se ne vede.
Lo spettacolo, però, è incredibile. Il cielo è terso, di un blu fortissimo, il sole talmente caldo da farci togliere le giacche, e non siamo le uniche due persone – e animali, almeno per quanto riusciamo a vedere – nel vallone.
Ci fermiamo alcuni minuti ad un bivio, non perché indecisi sulla strada da prendere, quanto per goderci uno spettacolo poco comune: siamo all’imbocco di un vallone profondo, e per questo quasi sempre in ombra. Nelle poche ore di sole di questa giornata decisamente calda, la cascata di ghiaccio comincia a sgretolarsi, ed enormi blocchi cadono giù, con rombi e botti quasi assordanti.
Ci abbiamo messo un attimo a capire cosa fosse, il rimbombo nella valle ci aveva un po’ disorientati ed, all’inizio, sembrava il rumore di piccole slavine.
Poi, superata una curva, abbiamo capito, e visto, il meraviglioso spettacolo.
Le gambe non sono ancora troppo stanche, il sentiero è ancora percorribile – o almeno, quello che crediamo sia il sentiero – e speriamo di riuscire a raggiungere il colle in alto.
Proseguiamo ancora per un lungo tratto, tra tornanti e rocce a strapiombo, poi, arrivati all’inizio dell’ultimo tratto di salita, ci convinciamo a tornare indietro.
Il sole si avvicina alla cresta e non ci resta ancora molto prima che cominci a far buio ma, soprattutto, dovremmo percorrere un traverso troppo pericoloso, sopra di noi un manto nevoso fresco e che minaccia di staccarsi, sotto un volo di svariati metri, direttamente a valle.
Siamo arrivati alla fine del nostro giro, molto soddisfatti sebbene non arrivati alla meta – che, peraltro, non avevamo mai deciso quale fosse la nostra meta, era solo un camminare fine a sé stesso!
Ci giriamo e torniamo sui nostri passi, la discesa sempre molto più veloce della salita, la traccia ormai chiara e sicura, ed in poco tempo siamo di nuovo al casotto Arculà, prima, e sul fondo valle, dopo.
“L’uomo deve rendersi conto che occupa nel creato uno spazio infinitamente piccolo e che nessuna delle sue invenzioni estetiche può competere con un minerale, un insetto o un fiore. Un uccello, uno scarabeo o una farfalla meritano la stessa fervida attenzione di un quadro di Tiziano o del Tintoretto, ma noi abbiamo dimenticato come guardare.”
Claude Lévi-Strauss
E’ davvero spettacolare e mozzafiato poter godere di questi paesaggi, in silenzio, da una qualche roccia a strapiombo sulla valle, sotto i raggi di un caldo sole quasi primaverile, la neve che ovatta qualsiasi rumore, persino quello dell’aereo che di tanto in tanto vola sulle nostre teste.
Ultimo, ma non meno fantastico, è un piccolo regalo poco prima di arrivare sul fondo del vallone: una volpe dalla grossa coda rossa, attraversa il sentiero poco più avanti rispetto a dove siamo, per poi correre veloce via, saltellando di roccia in roccia, lontana da noi. E’ velocissima ed è impossibile riuscire a cogliere l’attimo ed immortalarla.
Rimarrà impressa nelle nostre menti, un piccolo regalo solo per noi, un ricordo di questa valle in cui sicuramente torneremo.
Poi, salutati gli ultimi raggi di sole, è ora di tornare a valle dai nostri amici e poi giù, alle macchine, al termine di questo lungo e bellissimo weekend.
Alla prossima!
AP
Scrivi un commento