Il primo trekking è terminato, siamo finalmente tutti seduti comodi sulle jeep dei nostri driver e abbiamo una fame incredibile. Il primo vero pasto kyrgyzo lo facciamo ad un ristorante nella calura di mezzogiorno, con una signora gentile che ci fa gustare noodles e momo – ravioli giganti simili a quelli cinesi, ripieni di carne di capra e cipolla, non proprio leggerissimi.
Con le pance piene, si guida ancora prima di raggiungere un bel campo dove montiamo le tende all’ombra di meli che ci bombardano ad ogni soffio di brezza, per fortuna sono micro-mele e non rischiamo troppo. Prima del tramonto abbiamo tempo di provare a fare un bel bagno nelle acque leggermente salate di Ysykköl. A bagno in quello che sembra un mare da tanto è grosso, lo sguardo si perde sul panorama che comincia con le rosse gole di sabbia, poi sulle verdi colline tondeggianti e dietro, come una corona, appuntiti picchi innevati. Ci godiamo un meraviglioso tramonto, un’ottima cena e poi tutti a dormire.
Il giorno dopo la perdiamo a quello che pensavamo essere un evento interessante e tipico, il Festival delle Aquile di Bokonbaevo, che potremmo definire una sorta di trappola per turisti dove i local sono solo attori e tutti i presenti sono turisti. Ne approfittiamo per riprendere le forze. La giornata passa tranquilla, facciamo il bucato e mangiamo a sazietà. La notte passa sotto la pioggia – tentiamo di andare a vedere l’alba al Fairy Tale Canyon, ma senza successo – ed in giornata ci trasferiamo a Karakol, un paesino decadente attraversato da una strada principale e poco altro. Un’altra simpatica signora ci accoglie a casa sua, dove finalmente passiamo la prima notte in un letto vero, non male dopo tante notti in tenda. Facciamo la spesa per il trekking che ci aspetta, prepariamo gli zaini, cena e a dormire.
Una sostanziosa colazione preparata in casa ci sveglia, poi si va a recuperare Kube, il ragazzo che ci aiuterà facendoci da porter, visto che questa volta non avremo i cavalli e dovremo portarci tutto da soli. Una mezz’ora di macchina ed eccoci in questa fantastica e verde vallata. Arrivati al ponticello che segna l’inizio della nostra avventura, scendiamo e ci carichiamo gli zaini in spalla, Kube parte a passo veloce, chissà se lo rivedremo prima di sera.
Ci incamminiamo dietro il nostro porter, attraversando il ponticello che ci apre le porte di questa favolosa valle immersa in colori accesi: il blu del cielo, tutte le sfumature di verde del bosco, il bianco latte del fiume. Di buon passo seguiamo il sentiero che si sviluppa quasi pianeggiante in mezzo alla foresta, senza prender quota, un po’ preoccupante.
Dopo qualche tornante ed un po’ di salita, finalmente, sbuchiamo dove la valle diventa ampia e pianeggiante, tagliata a metà dal fiume, con mandrie di cavalli selvaggi che galoppano con le criniere al vento, liberi. Siamo affascinati dalla vallata e ci
prendiamo una piccola pausa per ammirarla al meglio e goderci un breve riposo prima di avviarci per la parte più difficile del sentiero dove infine saliremo davvero. Ci mancano 300 metri di salita, ma un po’ per la quota e un po’ per gli zaini, potrebbero risultare faticosi.
Saliamo con calma, senza fretta ma senza rallentare troppo. Ben presto arriviamo in cima a questa salita, al campo di Ala Kol dove, essendo tra i primi arrivati, possiamo sceglierci un bel posticino che prenda il sole fino all’ultimo raggio.
Montiamo le tende ed abbiamo tutto il tempo di fare un bel pisolino e ricaricarci prima di cena, con delle belle foto al tramonto abbarbicati sulle rocce che circondano il campo. Prima che faccia buio del tutto cuciniamo la cena – pane, brodo, pastina accompagnati da vodka e tisane per scaldarci. La serata trascorre tra chiacchiere, un piccolo fuocherello, poi il sonno prende il sopravvento ed in breve siamo tutti in tenda.
Ci svegliamo che il sole è ancora ben lontano dal regalarci qualche raggio di sole: tutto è coperto da uno strato di brina bianca e ci vuole un bel po’ per riuscire a scaldarci a sufficienza da preparare la colazione. Coperti come non mai e con un inaspettato raggio di sole che arriva a metà colazione, mangiamo e poi chiudiamo gli zaini, incredibilmente veloci.
Ben presto ci mettiamo in cammino per raggiungere i 4.000 metri del passo che attraverseremo prima di cominciare la lunga discesa. Iniziamo – con ancora qualche strascico di mal di pancia dai giorni scorsi – a salire verso il punto più alto di questa avventura. Costeggiamo una fragorosa cascata fino a che non sbuchiamo poco più in alto della sponda del lago Ala Kol, con il suo azzurro lattiginoso ed i picchi aguzzi ed imbiancati tutto intorno.
Dall’angolo di lago da cui siamo arrivati, dove scola la cascata che abbiamo costeggiato, dobbiamo percorrere un lungo traverso a mezza costa che sale pian piano verso la meta, laggiù in fondo, di fronte al grande ghiacciaio sinuoso che alimenta il lago. Ce la prendiamo comoda, l’altitudine si fa sentire. Ben presto superiamo la massima quota a cui eravamo mai stato e di qui in avanti è tutto un record personale!
L’ultimo tratto è faticoso e se proviamo ad aumentare il passo sale un fiatone incredibile, ma mantenendo un buon ritmo ben presto raggiungiamo i 3.968 metri – già, ci mancano poco più di 30 metri per raggiungere i 4.000! – in circa 3 ore e mezza, un ottimo risultato. Siamo all’Ala-Kol Pass!!!
Eccoci tutti al colle, una gran soddisfazione soprattutto per Samu, sicuramente la meno preparata per questo genere di avventure che ha dato a tutti una lezione!
Festeggiamo con pane e formaggio, insieme a Kuba che si sta godendo anche lui il meritato riposo, molto meno impressionato di noi da questi panorami mozzafiato – chissà quante volte sarà già salito fin qui? Le foto sono tante e immancabili. Cerchiamo di raccapezzarci e dare un nome a qualche vetta, chiedendo alle varie guide che ne sanno, se possibile, meno di noi. Ma nomi o non nomi, le vette sono alte, aguzze e gelate, uno spettacolo impareggiabile.
Rimaniamo quasi per ultimi e poi prendiamo una scorciatoia per recuperare il tempo perso: invece di scendere lungo i ripidissimi e scivolosi tornanti, ci buttiamo giù a rotta di collo lungo il pendio sabbioso lasciandoci scivolare e divertendoci alla grande. Cominciamo la lunga strada del ritorno fermandoci davvero tantissime volte, una volta per ammirare un particolare scorcio interessante, un’altra un’aquila che vola basso, poi i cavalli, una sosta per rifiatare e bere, e prima che ce ne accorgiamo il sole è pronto per tramontare e noi siamo ancora distanti dall’accampamento di Altyn-Arashan.
Ci fermiamo ancora una volta alla yurta di una simpatica famiglia che ci offre un tè, formaggio e kefyr – latte di cavalla fermentato, una delizia locale per stomaci forti. Lo gustiamo in compagnia delle dolcissime bimbe che, tra una tazza e l’altra, giocano felici con le macchine fotografiche, regalandoci ricordi indimenticabili. Poi è davvero ora di affrettarci, raggiungiamo il campo appena in tempo per trovare gli unici posti quasi pianeggianti e piantare le tende, dopo ben 10 ore da quando siamo partiti.
Le terme siamo costretti a saltarle, sarebbe bello regalarsi un momento caldo e rilassante ma è già buio, siamo affamati e stanchi ed il pensiero di rimandare la cena non ci affascina: appena possibile ci sediamo a tavola, non al caldo però con una bella tazza di brodo tra le mani. Dopo cena facciamo una bella chiacchierata con un ragazzo di francese, papà di due bimbi davvero in gamba arrivati qui con noi; gli sbadigli cominciano ad essere insistenti e ci tuffiamo tutti in tenda.
Ci svegliamo quando i primi raggi di sole illuminano le tende e la colazione è una sorpresa: zuppetta di pomodoro fredda con verza, non proprio il tipico cornetto all’italiana! Mangiamo tutto quello che ci viene servito, senza farci troppe domande, e poi di buon passo ci mettiamo in cammino per gli abbondanti 15 chilometri che ci separano dai nostri autisti e dalle comodità.
Camminiamo veloci, questa volta senza pause se non qualche momento per rifiatare e coprirci dalle ventate di fumi puzzolenti e polvere alzati dai camioncini russi, decisamente vecchi, che portano su e giù provviste e clienti del campo.
Non è proprio una piacevole passeggiata, anche perché ben presto il sole si alza ed il caldo diventa sempre peggio, e poi arriva anche la fame che diventa pian piano un pensiero ossessivo.
Quando finalmente arriviamo all’ultimo chilometro, scopriamo con immenso piacere che Alex e Nurik ci hanno risparmiato gli ultimi 15 minuti di strada venendo a prenderci ben prima del punto concordato. E non solo, ci hanno anche portato qualche samsa, deliziosi – e pesantissimi – fagottini di carne di capra e cipolla che danno una breve tregua ai nostri stomaci mentre ci dirigiamo in città. Prima del tanto agognato pranzo però facciamo ancora una pausa da un apicoltore con le sue arnie lungo la strada, dove compriamo miele a chilometri, anzi metri zero, mirtilli in salsa di miele e propoli. Poi è finalmente ora di raggiungere la cittadina di Ak-Suu per mangiare e fare rifornimenti, stasera ci aspetta Jyrgalan e domani una nuova incredibile avventura!
Ciao! Mi piacerebbe fare un trekking in Kirghi quest’estate, voi siete andati con un viaggio organizzato? é fattibile organizzando il viaggio in autonomia?
Grazieee
francesca