Oggi la sveglia suona presto, nella speranza di poter sfruttare la poca acqua calda disponibile al campo, ma nemmeno metà di noi riesce a farcela e il buon proposito sfuma presto. La colazione non è all’altezza della cena: insomma, la mattinata non è partita benissimo, anche se le premesse della giornata sembrano favolose.
Prima di partire ci sono ancora due momenti di pausa: il primo è uno scherzetto ad Atti che, dimenticando la macchina fotografica in giro, lascia al gruppo l’occasione perfetta per nascondergliela e farlo correre in giro per un po’ prima di ridargliela! E poi si va a comprare pane e melone, il pasto del nomade.
Finalmente in macchina, lasciamo la città di Tosor in direzione Naryn, imboccando praticamente subito una bella strada sterrata e pietrosa che continuerà così per quasi 200 chilometri. Si comincia con sabbia e terra rossa, qualche sobbalzo e due tornanti, tutto nella norma. Ben presto però i tornanti si fanno più stretti e ripidi, la terra rossa viene sostituita da pietroni e rocce sempre più grosse, sobbalzi che fanno sbattere la testa sul tettuccio e tremare i denti, complice Alex che, alzata la musica al massimo si concentra e si fa prendere la mano, rischiando anche di incastrarsi in un fosso.
Il panorama cambia, dal lungo lago di questa mattina, siamo passati alla terra rossa ed ai canyon, poi alle rocce ed ora siamo in piena alta montagna, zero vegetazione, una lingua di ghiacciaio che scende di fianco a noi e si butta in uno dei due laghetti glaciali turchesi. Arriviamo appena sotto i 4.000 metri di quota al Tosor Pass e, appena raggiunto il colle, ci si apre davanti uno spettacolo che ci lascia a bocca aperta: un’altra vallata, completamente selvaggia, con in fondo una pianura sconfinata. Ci prendiamo un momento di pausa per goderci il panorama e sgranchirci le gambe nell’aria frizzantina del passo e poi rieccoci tutti in macchina, pronti per la discesa lasciando il favoloso Tosor Pass alle nostre spalle.
Davanti ai finestrini cominciano a sfilare paesaggi in continuo cambiamento: dalle rocce circondate dai ghiacciai, alle foreste ripide per poi passare alle dolci colline verdi ed all’altopiano tagliato dal fiume, e ancora le colline con rocce che sembrano la schiena di un drago, il tutto sotto un cielo dove, sporadiche, si rincorrono nuvole dalle forme stravaganti. E, ultimo ma non meno degno di nota, un dromedario che pascola solitario sul fondo valle. Sì, proprio un dromedario, pensiamo ad un’allucinazione ma è proprio lì, dopo la mandria di cavalli al galoppo e quella di yak che brucano imperturbabili.
La cosa più affascinante sono i colori, mai visti così vividi e accesi: dalle mille sfumature di verde dei prati, al rosso della terra, al blu e viola delle rocce ed a tutte le sfumature di giallo delle montagne, insomma, non manca nulla. Ci fermiamo per il pasto del nomade, come promesso a base di pane, melone e anguria – a cui aggiungiamo qualche scatoletta e un po’ di cioccolata, immancabili – sotto una roccia dalla forma imbarazzante, per la meritata pausa.
Con le pance piene e l’occhio che si chiude assonnato, ripartiamo per l’ultima ora, infinita, di macchina, che ci porterà al paesino di Naryn. Però la giornata non ha ancora finito di regalarci meravigliosi paesaggi e ci fermiamo per ammirare lo spettacolo dei due fiumi, di colori diversi, che si scontrano e si mescolano creando fantastici ghirigori di fango nell’acqua. Tornati alla guida ecco che, con immenso sollievo di tutti, i sobbalzi finiscono e siamo di nuovo sull’asfalto: dopo un’intera giornata di buche, rocce, guadi e saltelli vari, è un piacere aumentare la velocità e farsi cullare dal rollio dell’asfalto.
Rientriamo a Naryn, un’anonima città dove però ci aspetta una cena seduti ad un tavolo, una doccia calda ed un letto in una stanza, piccoli comfort che apprezziamo infinitamente, soprattutto perché domani si riparte per un lungo viaggio verso la valle di Kol Suu.
Scrivi un commento