Data Trekking: 12/03/2016
C’è chi sogna di attraversare l’Oceano a nuoto e ci riesce.
C’è chi sogna di diventare cardiochirurgo e ci riesce.
C’è chi sogna di arrivare vivo a 100 anni e ci riesce.
Io sognavo di scrivere sulla pagina di World’s Paths.
E ci sono riuscito.
Eccomi qua sono Beppe, oppure Pasqui, oppure Beppe Pasquale oppure l’uomo completamente nudo. Giovane esploratore dal naso grande e dai polpacci idem e sarò qui a raccontarvi della bianca gita che ci ha portato alla Punta Courbasiri.
Gita che ha visto protagonisti Me medesimo e Attilio.
Ambra è rimasta invece a casa per due motivi: primo motivo perchè doveva studiare e secondo motivo è perchè mi odia.
Si parte.
Lasciata la macchina a Pian Neiretto, prima di inoltrarci nel bosco, mi auguro con Attilio di trovare poca neve.
Sapete, io odio la neve, mi indispone e mi infastidisce.
Certo, è bellissimo vederla scendere quando stai dietro la finestra mentre sei al riparo nella casetta di legno sognante e fumante con la dolcevita che ti scalda il petto, magari mentre leggi un buon libro davanti al caminetto con le babbucce di lana ai piedi, sorseggiando un bicchiere di nebbiolo e poi stordito e innamorato finire a fare all’amore con la tua fidanzata sulla moquette mentre la radio suona qualche canzoncina natalizia cantata da Mariah Carey.
Ma qui non sono con la mia fidanzata ma sono con Attilio che tutto può avere tranne che parvenze femminili, grosso come una sequoia e peloso come una tarantola.
E ci troviamo di domenica mattina, vestiti con abiti tecnici, con zaini carichi come zavorre e con le ciaspole appese.
Speriamo oggi di non doverle mai usare.
Ci inoltriamo nel bosco, colori incredibili di varie tonalità di giallo, verdognolo e marroncino colorano il nostro passaggio, io mi porto avanti spedito e Attilio rallenta così può scattarmi un sacco di foto mentre avanzo potentissimo.
Essendo io di base egocentrico e con segno zodiacale Leone potete ben immaginare come questa cosa possa non disturbarmi affatto. E lui allo stesso tempo ne approfitta per fare più foto possibili, quando gli capiterà di nuovo di avere un modello come me da immortalare?
Siamo ormai inoltrati nel bosco, fitto e silente. Immaginate il bosco della storia di Cappuccetto Rosso. Bene.
Bè, cappuccetto Rosso non c’è, non c’è nemmeno il lupo nè la baita della nonna e nemmeno il cestino coi dolcetti da consegnare. Ci siamo solo io e Attilio e il silenzio più totale intorno a noi.
Un dubbio ci attangalia, tutto questo silenzio intorno a noi potrebbe rivelarsi un’imboscata. Potrebbero saltare giù dagli alberi banditi di Sherwood da un momento all’altro e rubarci lo scrigno peino di monete d’oro e allora noi proseguiamo quatti quatti e tesi tesi e coi nervi tesi e con le orecchie tese pronti ad anticipare l’imboscata, venite fuori se avete il coraggio, brutti pezzi di merda!
Poi mi giro verso Attilio e un po’ perplesso gli chiedo: “Ma per quale cazzo di motivo siamo venuti in montagna con uno scrigno pieno di monete d’oro?!?!” Non troviamo risposta e proseguiamo.
Le macchie di neve si fanno sempre più presenti sul nostro sentiero e annunciano il peggio. E’ venuto il momento che non volevo arrivasse. No, nessuna imboscata. E’ venuto il momento di mettere le ciaspole.
Qualche tornante nella neve e la salita si fa sempre più ripida e la neve si fa molle e antipatica. Si sprofonda, le gambe esplodono, il nostro respiro si fa più forte mentre il sole, sopra di noi, ci batte in testa come una saldatrice laser.
Non abbiamo nè crema protettiva, nè un copricapo.
La fatica e il paesaggio desolato hanno un impatto troppo pesante su di noi e, come beduini nel deserto, iniziamo a vedere i miraggi.
Da lontano, notiamo il corpo di Mike Bongiorno che da lontano ci fa ciao con la mano e ci grida “Allegria!”
La follia sta prendendo il sopravvento ma dobbiamo rimanere lucidi e uniti. “Non c’è nessunoooooooo, non c’è nessunoooooooo”, ci urliamo mentre ci prendiamo a schiaffoni in faccia.
E proseguiamo su come dei treni grazie al passo costante dato dai nostri polpacci che sono più forti delle querce e come degli yak che puntano a una cima nepalese ci sentiamo più onnipotenti del Dio Sole, mentre intanto il dio Sole si occupa di allestire un barbeque sopra la nostra testa, con costine e salsicce.
E passo dopo passo raggiungiamo il Colle della Roussa.
Siamo tornati in noi, il miraggio Mike Bongiorno è svanito, facciamo una piccola sosta qui sul Colle che è un punto panoramico bellissimo, pisciamo contemplando l’orizzonte, mangiamo due biscotti e una banana con le nostre mani pulite e poi mi metto in posa per un altro paio di foto, una normale in cui faccio l’espressione alla Marlon Brando e una in cui faccio il salto.
“Come salti dimmerda!” mi dice Attilio…
E saliamo e saliamo e saliamo come dei treni merci e con il viso che ormai ha lo stesso colore dei treni merci. Bordeaux.
E quando arriviamo sulla cima di questa montagna vuota e disabitata in cui non ci sono escusionisti né pastori, troviamo una piccola sorpresa.
Pensavamo di essere gli unici uomini sulla Luna e invece incontriamo un piccolo poeta, lassù, a contemplare. Un piccolo camoscio solo soletto che appollaiato scruta l’orizzonte.
Ho voglia di spogliarmi completamente nudo, ho bisogno di tornare all’essenziale ma questa volta rinuncio. Non vorrei che lo stambecco mi azzanni il pirillo, non so parlare agli animali come San Francesco e non saprei poi come chiedergli di restituirmelo.
Così ci sediamo assieme allo stambecco e partecipiamo alla bellezza assieme a lui tutti insieme come grandi amici di infanzia, come vecchi lupi di mare che hanno ormeggiato la barca a vela e si godono il tramonto da un isola deserta.
Qui dalla punta Courbasiri, mentre i nostri occhi vedono il paradiso e la nostra testa sogna l’universo, non importa più nulla e non esiste più nulla, per pochi minuti allontaniamo tutti i problemi del mondo dalle nostre vite.
Anche l’ustione di secondo grado sulla nostra testa.
E’ stata una magnifica giornata e forse è venuto il momento di scendere a valle e tornare a casa.
Ma non ancora. Non ancora.
Vai vai vai vai.
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