Alaska, terra di esploratori, il confine del mondo, casa dei cercatori d’oro e di ghiacci e animali selvaggi, terra di viaggi e di sogni.
L’abbiamo sognata, l’abbiamo vista in film e video e ne abbiamo letto in libri e guide, abbiamo provato a raggiungerla senza successo – ci ha messo alla prova fin dal primo momento – e ora, finalmente, è ora di raggiungerla.
Un viaggio che abbiamo progettato 3 anni fa, interrotto sulla strada per il confine e ripreso con un aereo che sorvola la Groenlandia in una calda e tersa giornata di inizio agosto. Alaska stiamo arrivando!!!
E l’Alaska non ci delude già da prima di metter piede in terra americana: sorvolare la Groenlandia è semplicemente spettacolare! Lingue di ghiaccio che si tuffano nel mare, fiordi profondi, iceberg immensi e creste di basse montagne che spuntano da questa landa bianca e desolata.
Voliamo molte ore e finalmente cominciamo a sorvolare la terra selvaggia che è l’Alaska, sterminate pianure disabitate si aprono sotto di noi e solo dopo alcune ore cominciamo a vedere i primi rilievi. Ed i rilievi diventano subito alte montagne, verdi all’inizio e poi pian piano coperte di neve e ghiacci.
Quando ormai siamo quasi in dirittura d’arrivo ci si para davanti la montagna simbolo dell’Alaska, il Monte Denali. Più di 6.000 metri di altitudine – è praticamente all’altezza a cui stiamo volando! – ed un’imponenza sul paesaggio circostante che si vede addirittura da quassù. E prima di atterrare, un regalo dal pilota, un bel giro attorno alla montagna più alta del Nord America!
Ancora estasiati dall’inaspettato tour intorno al Monte Denali, ci dirigiamo subito al banco Hertz che ci consegna non il 4×4 che avevamo chiesto, ma un big SUV. Ecco, ora, per chi non fosse esperto in misure americane, tutto è enorme e più grosso di quando si pensi. Un big SUV è praticamente una casa su ruote e decidiamo di non fare la fatica di montare la tenda – dopo una giornata di forse 40 ore è anche giusto! – ed inauguriamo una lunga serie di notti in auto, da veri viaggiatori on the road.
La stanchezza prende il sopravvento, nemmeno la notizia di un orso con cuccioli che gira per il campeggio ci sveglia e anche se abbiamo fame – non siamo riusciti a trovare la bombola del gas e la spesa è stata segnata dal cervello spento – ci mangiamo qualcosa di freddo e ci infiliamo nel sacco a pelo alle 10, con il sole che è ancora visibile all’orizzonte.
Sveglia presto, rigenerati da una lunga notte di sonno disturbata solo dal continuo rumore delle macchine – l’unico campeggio disponibile in Anchorage, il Centennial Park, è carino ma troppo vicino all’autostrada – ci facciamo una bella doccia e siamo operativi: attiviamo subito la Sim card acquistata ieri per poter essere online e monitorare meteo, aurora boreale e punti interessanti da visitare.
Cominciamo la giornata con un nuovo giro di acquisti: una spesa per riempire la “dispensa” – lo scomparto sotto il baule della macchina – acqua e attrezzatura anti-orso che comprende il bear canister (un contenitore dove mettere il cibo a prova di orso) lo spray al peperoncino ed il filtro per l’acqua, per evitare di esser contaminati dai batteri portati dai roditori.
Abbiamo deciso che la prima tappa del nostro lungo road trip nella terra selvaggia all’estremo Ovest sarà il parco Wrangell-St. Elias, nell’estremo Est del paese, un parco che arriva fino al confine con il Canada e continua al di là di questo.
E’ uno di quei posti di cui si racconta nei film: una sola strada rigorosamente sterrata e al limite del praticabile porta alla miniera d’oro di Kennecott – ormai non più in uso – uniche possibilità di esplorare le regioni interne del parco a piedi, con marce di centinaia di chilometri o volando – a prezzi decisamente inaccessibili. Insomma, un parco che pochi hanno visitato e pochi visiteranno. E noi non saremo tra questi.
Non tentiamo la sorte lungo la strada che porta a Kennecott, ce l’hanno descritta in troppi come decisamente sconnessa e l’assicurazione dell’auto non copre incidenti e malfunzionamenti fuori dalle strade asfaltate e 60 miglia di rischio sono troppe per cominciare. Ci accontentiamo, se così si può dire, di una piccola strada al margine nord del parco, la Nabesna Road, sempre sterrata ma di sole 42 miglia.
Guidiamo verso Est da Anchorage lungo la Alaska Route 1: bastano poco più di un paio d’ore perché la vallata si apra davanti a noi ed il Mt. Drum ci appaia in tutta la sua imponenza. E’ il primo picco della catena montuosa del Wrangell, uno tra i più piccoli, ma noi siamo quasi a livello del mare e lui sorge dalla piana in quasi tutti i suoi imponenti 3.661 metri.
Siamo partiti quasi all’ora di pranzo e come avevamo già scoperto in Canada, qui i viaggi sono lunghi anche quando sembrano corti. E infatti arriviamo a Slana, l’inizio della Nabesna Road, che la stazione Ranger è già chiusa. Dobbiamo rimandare la visita a domani e cerchiamo un posticino per dormire; lo troviamo al mile 8, una piazzola attrezzata con fire ring e tavolo da pic-nic che diventa la nostra casa. Facciamo il primo vero pasto in macchina sotto un’acquazzone e poi qualche passo esitante alla scoperta dei dintorni: la presenza degli orsi si sente nell’aria e allontanarsi dalla sicurezza delle rigide pareti in metallo della macchina non è semplice.
Passiamo la nostra prima notte lontani dalla civiltà e ci accorgiamo che per quanto presto ci svegliamo, difficilmente riusciremo a vedere l’alba: nonostante la sveglia presto, il sole è già alto sull’orizzonte.
Andiamo alla stazione dei ranger dove ci rassicurano che i guadi sono attraversabili senza problemi e, con nostra gran sorpresa, ci omaggiano di un cd che ci accompagnerà lungo la strada miglio dopo miglio, raccontandoci aneddoti di questo parco e quello che ci circonda.
Ci fermiamo dopo metà strada per un veloce trekking allo Skookoum Volcano Trail, ma non arriviamo alla fine perché dopo aver arrancato per mezz’ora nella foresta fitta e per un altro po’ su rocce tutte uguali, decidiamo di tornare indietro.
Arriviamo fino alla fine della strada – il cd ci tiene a precisare che siamo “At the end of the road!” – giriamo la macchina e torniamo indietro. Sulla strada del ritorno ci godiamo ancora di più il paesaggio e ci fermiamo in una delle piazzole a lato strada che avevamo già puntato all’andata: vista sul laghetto e Mt. Wrangell e Mt. Sanford sullo sfondo, con i loro cappotti bianchi e un leggero pennacchio di fumo – il Mt. Wrangell è un vulcano!
Ci gustiamo il primo di una lunghissima serie di pasti a base di noodles – questi sono piccantissimi! – e ci godiamo il meritato relax. Non passa molto e ci infiliamo di nuovo in macchina: il sole da queste parti picchia davvero forte quando il cielo è terso.
Ma solo pochi chilometri dopo siamo di nuovo fermi: un alce grandissimo con un palco di corna davvero imponente cammina tranquillo poco più avanti, in mezzo alla strada, brucando erba e fiori sui lati. Non sembra spaventato, ma per non rischiare ci teniamo a debita distanza, è talmente grosso da essere più alto della nostra enorme macchina!
Quando decide di essersi annoiato abbastanza di noi, placidamente ritorna tra gli alberi e sparisce dalla vista. E noi ci dirigiamo verso l’uscita del parco…
Usciti dal parco guidiamo verso Nord in direzione Denali National Park lungo la AK-4 che, domani, ci porterà a Delta Junction. Ma per stasera decidiamo di cercare uno di quei posti da cartolina – uno dei tanti motivi di questo viaggio – e non dobbiamo guidare troppo per trovarlo: superato il Summit Lake, una stradina laterale punta verso una montagna particolare con una lingua di ghiaccio che scende.
Proviamo a seguire la strada sterrata, ma in buone condizioni, e arriviamo fino ad un enorme spiazzo con vista diretta su quello che scopriamo essere Institute Peak. Non siamo i soli anche se lo spazio è talmente grande che i vicini sono talmente lontani da vedersi appena. Raccogliamo un po’ di legna abbandonata da precedenti falò e facciamo il nostro piccolo fuocherello, cena, libro e relax, non potremmo chiedere nulla di più.
Al risveglio ci aspetta una lunga giornata di guida, poco meno di 300 miglia ci separano dal Parco del Denali e abbiamo intenzione di arrivarci domani al più tardi. La prima tappa è Delta Junction, un tempo importantissimo polo di passaggio che oggi è ricordato dal piccolo museo Sullivan Roadhouse, oggi semplicemente la fine dell’Alaska Highway.
E’ quasi ora di pranzo e un odorino niente male ci arriva dal Burger Drive-In di fronte: non possiamo che ingozzarci con il primo vero pasto da fast-food americano. Ripartiamo subito e poco dopo siamo a North Pole, una triste cittadina famosa per il suo Santa Claus rinchiuso in un negozio di souvenir a tema natalizio, come tutta la città. Davvero pessima.
Passiamo anche Fairbanks senza degnarla troppo, un semplice grande agglomerato di case tutte uguali.
Dopo tante ore di macchina e la noia che comincia ad arrivare – il paesaggio è bellissimo, ma abbastanza costante – ecco che superiamo Healy, l’ultimo centro abitato prima dell’ingresso per il Denali National Park e risale l’adrenalina. Non possiamo non accorgerci di essere arrivati, gli ultimi chilometri prima della svolta per entrare nel parco sono costellati di hotel, alberghi e negozi di attrezzatura.
Ci fiondiamo alla stazione Ranger che rilascia i permessi per il backcountry camping, ma dopo qualche informazione generica ci rimandano a domani: il rilascio del permesso comporta tutta una procedura tra cui un video di 20 minuti ed in tutto circa un’ora e l’ufficio chiude tra poco.
Usciamo dal parco e troviamo uno spiazzo lungo la strada un po’ coperto dal rumore delle auto, vista Nenana River dove, dopo qualche discussione su quello che decideremo fare domani, tiriamo fuori la cena: due belle Ribeye Steak, la giusta dose di proteine per le prossime avventure.
Andiamo a dormire che è ancora chiaro, ben su di giri per aver raggiunto uno di quei posti che sogniamo da davvero tantissimo tempo, il Denali National Park e che da domani non sarà più un sogno ma la dura, selvaggia, realtà.
Qui trovate il Diario di viaggio -> Alaska il grande viaggio
AP
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