Una decisione presa con poco anticipo, dieci giorni consecutivi di ferie un po’ rubati e un po’ fortuita coincidenza di calendario: la prima esperienza in Africa, un’entrata soft in questo continente, partendo dal suo Nord più occidentalizzato…ci aspetta il Marocco!
Il viaggio per raggiungere Marrakech è lungo, facciamo una tappa a Lisbona di una notte, città già vista ma sempre piacevole e soprattutto un piacevole relax per entrare in modalità vacanza e dimenticare i pesanti ritmi quotidiani. Il secondo volo ci porta finalmente a Fez, dove ha inizio la nostra vacanza.
Ci siamo documentati sul Marocco e la prima cosa scritta su qualunque guida e consiglio di tutti quelli che ci sono stati è: contrattate! Contrattate su tutto perché è la base della loro cultura. Ecco, per noi è una cosa invece contro natura, nessuno di noi due ha l’animo da commerciante, perciò partiamo con le armi spianate e le idee ben chiare, il prezzo finale dev’essere almeno la metà di quanto proposto. La prima sfida si pone appena scesi dall’aereo, per contrattare con il taxista: rischiamo di essere abbandonati pur di non cedere sul prezzo e riusciamo alla fine a strappare un prezzo decente, non proprio quello che volevamo.
La seconda sfida ci aspetta dentro le mura di Fez, città davvero particolare soprattutto per le sue mura impenetrabili, così sicure che nemmeno il GPS funziona. Zaino in spalla, palesemente turisti, ci aggiriamo consultando guida e telefono di sfuggita cercando di non farci notare dai furbi occhi marocchini, ma è ben presto chiaro che non troveremo mai il nostro riad senza aiuto e siamo assaliti quanto prima da frotte di ragazzini a dir poco insistenti pronti a scucirci qualche dinaro – decisamente troppi! – per accompagnarci finalmente alla porta che ci salva. Il riad è la una piacevolissima oasi di relax, nessuno cerca di venderci nulla o chiede soldi solo perché siamo turisti.
Ci cambiamo in abiti meno appariscenti, cerchiamo di memorizzare la mappa per non doverla tirare fuori e ci godiamo un breve giro prima che cali la sera, per poi infilarci in un ristorantino tipico molto carino dove mangiamo il nostro primo tajin, davvero squisito. Rientriamo in una città praticamente deserta, così diversa da appena qualche ora fa, le calde coperte un’ottima cura contro l’inaspettato freddo del Marocco.
L’indomani, dopo una notte bella fresca e riposante, decidiamo di andare a fare un giro alle famosissime concerie di Fez. Sappiamo di dover cercare le concerie Chouara sono le più famose e non importa quanto ci documentiamo, studiamo cartine e mappe, svoltiamo un paio di volte in qualche viuzza ed eccoci persi, alla mercè di uno dei tanti ragazzini che alla fine, quasi per disperazione, seguiamo. Ci fa fare un lungo giro – probabilmente per disorientarci?! – e poi finalmente arriviamo alle concerie: è ancora mattino presto, il sole si sta alzando piano e le vasche sono ancora in ombra, stanno arrivando i primi conciatori e siamo gli unici turisti, decisamente una gran fortuna. Facciamo un giro esplorativo con la guida che ci spiega il processo, da quando arriva l’animale a quando esce la pelle colorata, un po’ crudo ma interessante.
Si prosegue con un giro nella parte alta della città, sopra le mura, da dove finalmente riusciamo a scorgere l’intera medina con i suoi vicoletti. Speriamo di aver finito, ma la guida, sapientemente, ci porta prima dalla nonna che macina i semi di argan e poi dal presunto zio che vende tappeti, riusciamo ad uscirne indenni ma non senza fatica. Provati dall’insistenza dei locali ed alleggeriti di ben 300 dinari, fuggiamo verso l’albergo dove recuperiamo gli zaini e a passo svelto, senza mai voltarci indietro, raggiungiamo l’uscita dalla medina ed il taxi – questa volta riusciamo a contrattare il prezzo giusto – che ci porta all’aeroporto dove finalmente prendiamo la macchina: l’autonomia, che lusso!
Liberi di muoverci, ci infiliamo nelle strade trafficate che conducono fuori da Fez e finalmente cominciamo a guidare verso sud. La prima tappa, decisa ieri sera, è Tillicht, una cittadina scelta a caso sulla mappa non per qualche caratteristica particolare ma per il Kasbah hotel Jurassique, dove abbiamo trovato ad un prezzo molto basso quella che sembra un’ottima camera. Guidiamo un’oretta per arrivare al parco naturale di Ifrane, dove ci fermiamo per il pranzo a base di pollo arrosto gustato su un tavolo da pic nic con le scimmie che ci guardano, decisamente caratteristico.
Non ci fermiamo troppo e ben presto ci rimettiamo in macchina. Ci aspettano più di tre ore di strada sotto un sole caldo, ma non ustionante, in un paesaggio che alterna piccole oasi e terra arida, con delle alture che scorgiamo in lontananza alla nostra destra. E’ davvero rilassante, proprio quello che ci vuole per staccare dalla frenetica vita cittadina: un paese dove il tempo scorre lento, seguendo le stagioni ed il sole. Il tramonto lo vediamo mentre ancora stiamo guidando, è infuocato però siamo stanchi e non vediamo l’ora di arrivare, rimandiamo le foto. La kasbah è davvero molto carina, una sorta di castello finto in mezzo al nulla, e la cena – di nuovo tajin con una quantità incredibile di verdure e riso – ci riempie ben bene. Il tentativo di doccia è ben presto abbandonato: la temperatura è crollata e l’acqua è gelida, ci infiliamo sotto strati e strati di coperte e fuori la temperatura si avvicina pericolosamente allo zero, saremo mica tornati a Torino?
Sveglia ancora ben al freddo e colazione davvero abbondante, anche di più della cena di ieri sera, torneremo da questa vacanza ben pasciuti! Prima di risalire in macchina facciamo due passi di fronte all’albergo in direzione dell’altopiano, seguendo una breve stradina di pietre bianche che spiccano sul rosso della terra.
Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso Al-Rashidiyya per proseguire ancora poco ed arrivare a Meski ed alla sua vecchia kashba o qasba, una vecchia fortezza oggi diroccata. Da qui in avanti ne vedremo tantissime, alcune diroccate, ma tante ricostruite o ristrutturate e ora lussuosi hotel. Arriviamo nei pressi della kashba e ci dirigiamo alla famosa source bleu che scopriamo con dispiacere essere un grande campeggio con una fonte d’acqua bella ma decisamente troppo frequentata.
Esploriamo i dintorni a piedi fino ad arrivare alla vecchia kasbha costruita in fango essiccato e ormai praticamente distrutta. Giriamo un po’ tra le vecchie stanze e poi torniamo al paesino dove un simpatico – e gran commerciante – signore che parla un po’ italiano, ci offre un tè caldo, tante chiacchiere e i turbanti che ci convince serviranno nel deserto. Riusciamo finalmente a salutarlo – ovviamente alleggeriti – e ci dirigiamo spediti a Rissani, godendoci il panorama della striscia di verde in mezzo al deserto, quasi incredibile. Arrivati a Rissani ci dirigiamo al mercato cercando di evitare tutte le varie guide improvvisate, e ci riusciamo stranamente, addirittura riusciamo a comprare uno dei foulard ad un decimo di quanto il nostro caro amico ce l’ha venduto poche ore fa.
Ripartiamo e ben presto arriviamo a Merzouga ed alla nostra destinazione, l’Azawad Riad, da dove al tramonto parte la nostra avventura, molto turistica ma davvero immancabile: saliamo a dorso di cammello, bardati per bene contro il sole cocente, e ci avventuriamo tra le dune di Erg Chebbi. Superate le prime e persa di vista la civiltà, ci addentriamo in questo mondo particolare, fatto di sabbia dorata ed innumerevoli salite e discese che lento passo dopo lento passo, ci porta all’ultima duna sul limite Est prima che la roccia riprenda il suo posto e da quassù ci godiamo uno splendido ed infuocato tramonto, prima che il buio arrivi veloce e così la nostra cena, servita in una tenda fredda con due compagni spagnoli. Dopo cena ci aspetta uno spettacolo bello ma un po’ triste, con i suonatori di musica gnawa che fanno il loro spettacolo e poco rispettosi turisti asiatici che li riempiono di mance interrompendoli mentre suonano.
Ci allontaniamo dalla musica per goderci il fantastico panorama del cielo stellato, purtroppo breve perché ben presto sorge la luna e oscura in parte le stelle, e complice il freddo ci infiliamo sotto strati e strati di coperte.
Il risveglio è a poche ore di distanza, prima che sorga il sole, con un velo di brina che ricopre tutto: facciamo la colazione più veloce e scarsa dall’inizio di questo viaggio ed in breve siamo di nuovo a cavalcioni del nostro cammello, diretti verso il riad che segnerà la fine di questa avventura dolceamara. Ci gustiamo l’alba mentre si cammina ed arriviamo che il sole è già alto ma ancora troppo freddo per averci scaldato dal tanto gelo freddo: il tè caldo con qualche biscotto che ci accoglie è una manna dal cielo.
Oggi la nostra destinazione è Ourzazate, dove abbiamo prenotato proprio questa mattina un albergo poco fuori città che dovrebbe essere carino.
La città è vicina e ci fermiamo per fare un pranzo in quello che pensiamo essere un posto super turistico lungo la strada, che invece si rivela un ottimo ristorante, economico e frequentato da locali, dove ci riempiamo ben bene. Lasciamo la roba in camera e ci dirigiamo alle belle Gole del Todra dove, finalmente, facciamo la prima vera e propria camminata: 3 ore di piacevole e facile camminata, per fortuna con qualche nuvola ed una leggera arietta, intorno e sopra la gola, chiudendo un bell’anello.
Ritornati a Ourzazate, siamo nuovamente affamati e vorremmo farci una doccia prima di cena, ma l’acqua è gelida e la stanza anche peggio, rimandiamo la doccia a tempi più caldi!
È la sera di Natale ed il proprietario dalle origini europee, ci offre la miglior cena della vacanza – e scopriremo anche la più economica – accompagnata da una bella stufa ed un simpaticissimo cagnolino che ci fa divertire tutta la sera. Anche qui, finita cena da quattro portate ed un paio di tazze di tè caldo dopo, prima scambiamo quattro chiacchiere sia con il proprietario che con degli altri turisti che come noi hanno infinitamente apprezzato sia il posto che la cena e poi ci infiliamo sotto svariati strati di coperte.
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