Due lunghissimi mesi costretti in casa, o appena fuori ma facendo attenzione a non superare il confine comunale, hanno fatto crescere dentro una voglia incredibile di avventure selvagge nella natura. Abbiamo dovuto attendere, poi anche il meteo ci si è messo di traverso, infine le gambe da testare dopo due mesi di stop forzato – di scalini e affondi in casa ne abbiamo fatti tanti, ma meglio evitare qualche bella infiammazione per esser partiti troppo decisi e fare un paio di weekend di acclimatamento, prima sul Musinè, poi in bici. Poi, finalmente è ora di partire, l’avventura ci aspetta! Abbiamo così accumulato quasi tre mesi completi di permanenza nel raggio di pochi chilometri da casa, immersi nelle comodità di letto e divano, lontani da alberi boschi e vette. Nel mentre la neve si è sciolta quasi del tutto, abbiamo messo a dormire le tavole da snowboard fino alla prossima stagione ed abbiamo cominciato a progettare nuove avventure, rigorosamente tenda in spalla nel rispetto del nuovo must, il distanziamento sociale. Partiamo da una vallata già esplorata in passato, la fantastica Valle Stura, meta di un’avventura autunnale a due ruote al Passo della Gardetta e poi ai laghi di Roburent a piedi il giorno dopo. La zona è molto bella anche se le più di due ore di macchina da casa non permettono che sia tra le più frequentate. Con due zaini oltre i 15 chili ed un meteo che già sappiamo ci regalerà un bel bagno tra non molto, ci incamminiamo sotto il sole del pomeriggio e le nuvole minacciose già all’orizzonte. Rimettere finalmente un piede davanti all’altro nell’erba, sul sentiero sconnesso, le gambe che faticano, il sudore ed il peso dello zaino sono un piacere dopo tanto tempo fermi. Il sentiero sale dapprima nel bosco, all’ombra per fortuna in questo inizio sotto il sole, poi man mano che saliamo e abbandoniamo gli alberi anche il sole sparisce, sostituito in fretta da una spessa coltre di nuvole grigie. Superata la metà del percorso che ci separa dal Lago Oserot arrivano le prime gocce di pioggia, per fortuna non è un bel temporale come temevamo, ma una simpatica pioggia costante. A tratti le nubi ci circondano e la visibilità si abbassa, a tratti addirittura smette di piovere. Siamo ben attrezzati e non ci bagniamo troppo, e dopo l’ennesima collinetta ecco che finalmente raggiungiamo l’avvallamento del lago Oserot. Ci sono molti posti per piazzare la tenda, ne scegliamo su un piccolo promontorio a pochi metri dalla riva, molto spettacolare. Proviamo ad aspettare che smetta di piovere per montare la tenda, per evitare di infradiciare tutto, ma un vento freddo si alza e star fermi diventa una gelida tortura. Negli unici due minuti in cui smette quasi del tutto di piovere, montiamo la tenda a tempo di record e ci infiliamo dentro, prima cosa da fare togliersi la roba bagnata di dosso ed infilare il cambio caldo per la notte, poi si aspetta che spiova con un meritato riposino pomeridiano. Ci svegliamo che sono le otto passate, ha smesso di piovere ma il cielo rimane abbastanza coperto. Ci sfiliamo dai sacchi a pelo e usciamo a preparare la cena a base di agnolotti, accovacciati dietro una roccia per ripararci dal vento. Facciamo appena in tempo a finire di mangiare e sciacquare il tutto che ricomincia a piovere, in pochi minuti siamo di nuovo distesi al caldo dei sacchi a pelo. Non siamo ancora riusciti a vedere il panorama! Dopo qualche ora, nel buio della notte, il tanto tè caldo ed il brodo richiamano all’ordine e tocca uscire un momento: lo spettacolo di una notte senza luna, con le luci dei paesini nella valle e le sagome nere delle vette che si stagliano nel buio del cielo stellato, fanno dimenticare il freddo e rimaniamo a lungo fuori ad ammirare il panorama notturno. L’indomani ci svegliamo e finalmente splende un bel sole caldo in un cielo terso, la tenda è già asciutta e la giornata si preannuncia fantastica. Un bel po’ di foto ed una lunga colazione ci fanno rimettere in moto, sistemiamo tutto negli zaini e siamo pronti per il nostro bel giro. Si comincia con una camminata su di un sentierino che a tratti perdiamo, su per la morena tutta sfasciumi, dritti al colle Bernoir, dove arriviamo dopo un lungo traverso sotto un vecchio bunker. La curiosità è tanta e riusciamo, una volta scavallata la cresta e scoperto un secondo ed un terzo bunker, a trovarne l’entrata, quasi completamente nascosta sotto degli accumuli di neve. Entriamo nei bui, umidi e freddi cunicoli che comunicano tra i due lati della cresta, è davvero molto grande ed organizzato! Facciamo capolino dalle piccole feritoie degli altri due bunker e ci addentriamo nelle tante piccole stanzette prima di uscire nuovamente al sole. Salutati i bunker, è ora di divertirci! Si parte subito con un brutto traverso innevato, pochi passi in cui si sprofonda fino alle ginocchia per raggiungere la traccia di sentiero e scoprire che dobbiamo subito abbandonarla a causa di un altro nevaio troppo esposto. Saliamo diretti verso la cresta passando per rocce e roccette ed aggirando i vari nevai, finché non raggiungiamo il filo di cresta dove è più semplice procedere. A tratti sulla traccia di sentiero, a tratti tentando passaggi tra una roccia ed un’altra, raggiungiamo l’ultimo traverso di sfasciumi che ci porta alla salita finale per la vetta del Monte Servagno! Ci accorgiamo subito che la fatica non è finita, la discesa non sarà semplice e veloce. Abbiamo un paio di opzioni: tornare per dove siamo arrivati è fuori questione, la cresta nell’altro verso è pericolosa, si potrebbe puntare dritti verso la morena sopra il lago, ma così non chiuderemmo l’anello cominciato. L’alternativa è infilarci in uno dei canali di sfasciumi che scendono paralleli al Colle Servagno e fare poi un traverso per raggiungerlo e ricongiungersi al sentiero. Con qualche dubbio sulla fattibilità della via scelta, ci infiliamo in quello che sembra il canale più percorribile: una lunga colata di sfasciumi che serpeggia intorno a pinnacoli di roccia, tutto molto instabile. Scendiamo uno per volta, riparandoci lateralmente e dietro grossi massi dalle roccette che scaricano dall’alto, e con molta pazienza e passo fermo, pian piano raggiungiamo la fine del canale, abbandonando l’idea di raggiungere il Colle Sevagno. Che soddisfazione! Abbiamo finalmente fatto la nostra prima piccola cresta e siamo scesi in un bel canalino, primi passi di alpinismo senza guide o amici esperti. Il prossimo passo è portarsi corda e imbrago per migliorare la sicurezza sui passaggi più esposti, ma per oggi è andata e va bene cosi. Felici, saltelliamo giù sul primo spiazzo erboso che troviamo fino ad un posto comodo per riposarci un minuto e ammirare dal basso la nostra conquista. Ne approfittiamo anche per fare un video di congratulazioni alla nostra figlioccia californiana che, nonostante il periodo difficile, si è diplomata con il massimo dei voti, brava Charlotte! Rimettiamo lo zaino in spalla, leggeri per aver concluso la parte difficile e con le gambe pronte ai diversi chilometri che ci separano dall’arrivo. Ce la prendiamo comoda, abbiamo tutto il pomeriggio davanti e non c’è motivo di correre, anzi, facciamo un sacco di fermate per foto e relax. In particolare, ci attardiamo per fotografare abbastanza da vicino un nutrito branco di stambecchi con anche qualche piccolo cucciolo. In lontananza ci è anche sembrato ci fossero un paio di camosci, ma non siamo proprio sicuri. In ogni caso li seguiamo, a distanza mentre si spostano dal nevaio verso la cresta, con i loro fischi di avvertimento quando ci troviamo ad essere troppo vicini. Poi ricomincia la lunga discesa, prima lungo tutta la morena, poi giù per i prati della conca ed infine di nuovo verso il bosco. Gli ultimi tornanti del sentiero sopra le poche casette che segnano l’arrivo non finiscono mai, i piedi son cotti e stanchi. Finalmente, raggiungiamo l’asfalto ed in pochi metri siamo alla macchina. Sicuramente un ottimo modo per dimenticare questa lunga quarantena passata tra quattro mura, l’inizio di una stagione diversa, spesso in tenda e sicuramente a spasso sulle nostre Alpi, alla conquista di nuove vette e con le prime vere uscite alpinistiche in programma! AP
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