Data Trekking: 07/03/2015
quota di partenza (m): 1550
quota arrivo (m): 2424
dislivello complessivo (m): 900
Accesso :
Dall’uscita autostradale di Aosta Est seguite la strada statale 27 del Gran San Bernardo fino dopo l’abitato di Etroubles. Poco prima di raggiungere Saint-Oyen si svolta a destra in direzione di Prailles. Superare Prailles dessus e raggiungere Prailles dessous. Svoltare nuovamente a destra e lasciare l’auto nel piccolo parcheggio antistante l’agriturismo “La Grandze in Tsi Inconnu”. Da qui è anche possibile proseguire per un breve tratto di strada sterrata fino al segnale di divieto di transito (3 posti auto), posto in corrispondenza dell’attraversamento dell’Alta Via 1.
Da troppo tempo non passiamo una notte fuori casa – o, meglio, per i nostri standard è troppo tempo! – e dopo la ritirata durante la salita al bivacco Piero Vacca, la voglia di una notte al freddo era tanta.
Raccattato un amico, anche lui reduce dalla ritirata, decidiamo di ripartire alla volta di un altro bivacco, più facile da raggiungere, sebbene il gestore ci abbia avvisato che potrebbe essere difficile entrare per la neve depositata davanti alla porta. Noncuranti dell’avvertimento, ci armiamo di pale e decidiamo che, alla peggio, scaveremo un po’. Beata incoscienza!
La nostra destinazione è il bivacco Molline, in Valle d’Aosta, poco lontano da Étroubles – e sbagliamo anche strada, qui tutti i paesini hanno frazioni con lo stesso nome. Raggiunto finalmente il giusto abitato di Prailles, lasciamo la macchina, sistemiamo gli zaini, bacchette per tutti e via, si parte.
«…la mia casa è quassù fra lo sconfinare delle vette e i racconti del vento…
… la mia casa è quassù fra le altere pareti e misteriosi silenzi…
… la mia casa è quassù fra garrule acque e dolcissimi ricordi.
Qui sono io, qui è la mia casa, qui sono le mie montagne».
Antonella Fornari
Non conosciamo la strada e abbiamo solo una vaga indicazione sul percorso, i cui segnali sono, ahimè, ampiamente sepolti dalla neve, e quindi inutilizzabili. Tra una valutazione errata ed una salita a caso in un bosco qualunque, riusciamo a raggiungere prima il ponticello e poi quello che pare essere il sentiero, quello che avremmo dovuto incrociare molto prima ma che abbiamo clamorosamente mancato.
Poco importa, abbiamo fatto una bella scampagnata, e non siamo neanche ancora sudati, nonostante gli zaini non siano leggerissimi.
Mentre parliamo di come, negli ultimi tempi, siano stati avvistati lupi in più di un’occasione a quote anche abbastanza basse, ci imbattiamo negli inequivocabili segnali di passaggio di lupi: due camosci, ex camosci oramai, ci sbarrano la strada, sulle ossa i segni di morsi ben evidenti, i due teschi che ci guardano con orbite vuote e quella che una volta era una folta pelliccia sparsa tutto attorno.
La tentazione di prendere un cornetto portafortuna non è poca, ma l’idea di portarcelo in giro per due giorni ci fa un po’ rabbrividire, così lasciamo tutto lì, in ogni caso ci passeremo sulla strada del ritorno e magari avremo cambiato idea.
Proseguiamo, la vallata è molto bella, piena di vegetazione, in primavera dev’essere uno spettacolo di colori, mentre ora è monotonamente bianca – come se fosse possibile, per un posto del genere, essere monotono.
La strada non è perfettamente segnalata, almeno in inverno, quando tutto è coperto di neve. Probabilmente ci sono dei segni a terra, sulle rocce, ma ora è impossibile vederli. Per nostra fortuna, il sentiero corre lungo una strada utilizzata dagli alpeggi della vallata, ben segnata ed impossibile da perdere fino al grande pianoro sotto l’alpeggio estivo.
Qui, abbandoniamo il sentiero. Sappiamo che ormai non manca molto, l’ultima lunga salita e poi saremo arrivati.
La prima breve parte di salita ci porta al grande alpeggio, chiuso durante l’inverno, che ci offre un ottimo riparo dal vento, che nel mentre ha cominciato a soffiare, non troppo forte per fortuna, mentre ci prendiamo un momento di pausa.
Ci avventuriamo per le grandi stanze deserte, silenziose, così in contrasto a come saranno fra solo pochi mesi.
Ci rimettiamo in marcia, sappiamo che una grande sudata ci aspetta. Il bivacco è lassù, da qualche parte in un avvallamento dietro la cresta. Dalla quantità di neve che vediamo, non sembra avremo problemi ad entrare, le vette sono quasi del tutto spelate e anche qui nella valle non c’è molta neve a terra.
Ci incamminiamo, a zig zag su per la salita, la neve bagnata ed il pendio sempre più ripido si rivelano una bella sfida, soprattutto per il nostro amico alla prima ciaspolata. Ci si alterna a far traccia, cercando di seguire un sentiero che non vuole farsi trovare, tra cespugli di rododendro in cui si affonda e buchi tra le rocce nascosti dalla neve.
Secondo le indicazioni che abbiamo, raggiunta la cresta dovremo attraversare un pianoro, infine seguire ancora la cresta che sale poco e raggiunge l’avvallamento, dove una croce segnala il bivacco.
Già arrivare alla cresta, tra neve e vento, si rivela una bella sfida e le gambe si fanno sempre più pesanti. I dubbi sulle condizioni del bivacco, per via della stanchezza che si accumula e offusca un po’ il giudizio, si fanno sempre più pressanti e non vediamo l’ora di arrivare.
Raggiunto e superato il pianoro, non ci resta che l’ultima cresta. Ma proprio qui arriva il bello: scalata la piccola parete – e con le ciaspole ai piedi è un gran divertimento, ma toglierle è faticoso – basta un passo per ritrovarsi in balia del vento fortissimo, con raffiche addirittura più forti che minacciano di buttarci a terra. Ovviamente dobbiamo procedere contro vento, una fatica immane, ed il leggero pendio della cresta si trasforma in un gelido inferno di fatica e sferzate di aria ghiacciata.
Ma ormai manca poco e le ultime energie si moltiplicano ad ogni passo, vediamo il punto più alto della cresta che si avvicina sempre di più, faticoso passo dopo faticoso passo.
Raggiunta la cima superiamo ancora un avvallamento poi finalmente vediamo la nostra meta: una croce sulla destra della cresta.
Ci avviciniamo, non vedendo nessun bivacco, gli occhi un po’ offuscati dalla neve soffiata con forza dal vento dritta in faccia. Continuiamo a non veder nulla e questo ci preoccupa, poi, di colpo, la brutta scoperta: il bivacco è lì, davanti ai nostri occhi, solo più sotto, molto molto più sotto di quello che avessimo mai potuto immaginare.
La montagna è come un amore: se sei respinto, è meglio tornare in basso e non insistere.
Christian Kuntner
E’ lì, che ci sfida ad entrare. Ci proviamo a scavare, ma è praticamente impossibile: la neve è gelata e non riusciamo neanche ad intravedere lo stipite della porta, dovremmo fare un tentativo al buio, sperando di aver fortuna, e non sapendo quante ore ci vorranno per liberare uno spazio sufficiente – dalle foto sappiamo per certo che la porta si apre verso l’esterno, rendendo la nostra sfida senza speranza.
Ci dobbiamo arrendere, le ombre si stanno già impadronendo della vallata quassù ed il vento non accenna a diminuire, se non riusciamo ad entrare a breve potremmo avere dei seri problemi con freddo e la strada verso la macchina non è così breve.
Sarà il nostro compagno di sventure che proprio non ne vuole sapere di dormire fuori casa, o la nostra organizzazione approssimativa, ma anche questa volta torniamo indietro.
Ma nessun rimpianto, è stata una bellissima giornata, una gran bella ciaspolata e ci siamo fatti delle belle risate insieme, la prossima volta ci assicureremo che sia tutto a posto e, magari, torneremo da queste parti in primavera, durante le fantastiche esplosioni di colore che devono caratterizzare questa valle, con una tenda e tante stelle sopra le nostre teste.
Alla prossima,
AP
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