Le grandi praterie, terre di cowboy e di indiani.
Ma anche ranch e mucche e non solo negli Stati Uniti. Da quello che abbiamo visto in Montana, l’attività principale è l’allevamento, insieme all’agricoltura. E le dimensioni dei pascoli rendono il tutto molto, molto spettacolare.
Questo Ranch, ora sito storico nazionale, ha una lunga storia. Nato nel 1882 come associazione tra più piccoli ranch, è stato tra i primi grandi ranch nazionali e, soprattutto, uno dei pochi capace di sopravvivere praticamente un secolo, fino a quando, nel 1991, non è stato comprato quasi totalmente dallo Stato per farne un sito storico nazionale, che mantenesse vive le tradizioni e raccontasse la storia ai visitatori.
Il nostro Discovery Pass per l’entrata ai parchi ci permette di cominciare la visita senza dover pagare il biglietto, e dopo aver aspettato che smettesse di piovere, ci incamminiamo lungo il viale che porta al quartier generale del ranch.
Sulla nostra sinistra, un campo di grano viene tagliato con un vecchio carretto trainato dai cavalli, ed il signore alla guida pare divertirsi.
La nostra prima visita è alla zona dei macchinari, delle sellerie e dei capanni degli attrezzi: nulla è recente, tutto è ristrutturato o mantenuto, esattamente come era una volta. C’è il capanno con l’enorme trattore, la selleria con annessa bottega dell’intagliatore di cuoio – che volendo effettua produzioni su richiesta – alcune macchine antiche parcheggiate nel prato, un po’ a caso, come in molte fattorie ancora oggi, dove è facile trovare vecchie macchine mezze distrutte, lasciate lì ad arrugginire.
La tentazione di fare un giro su un trattore antico ancora totalmente funzionante e spesso utilizzato è tanta, ma credo che l’arresto sarebbe quasi immediato. Ci limitiamo ad una foto, arrampicata sulla grossa gomma.
Ormai siamo nel pieno centro di questa piccola cittadina composta di poche case: la vecchia posta alla nostra destra e la casa-dormitorio sulla nostra sinistra. Un piccolo giro nell’orto e nella cantina scavata sottoterra, a fianco all’orto, poi entriamo ed esploriamo la casa: una camerata con i letti dei braccianti al piano superiore, un salotto con caminetto di sotto, l’ampia sala da pranzo e la grande cucina. E’ tutto qui, ci si adattava con poco.
Una gentile signora che si occupa di questa casa, ci fa gustare degli squisiti biscotti di avena, una ricetta povera ma deliziosa, e del pane nero fatto in casa con burro, fantastico.
Facciamo un giro nelle stalle e nelle scuderie, tutte costruzioni in legno, perfette, piene di attrezzi ed addirittura una riproduzione di una mucca in legno, all’esterno, su cui esercitarsi con il lazo.
Ogni luogo è dotato di cartelli con spiegazioni varie, cos’era la costruzione, che funzione aveva, la storia del luogo, qualche aneddoto particolare. Insomma, di sicuro non ci si annoia.
Per ultimo, dopo tutte le casette accoglienti e i vari capanni, ci siamo lasciati l’accampamento. E’ la riproduzione abbastanza fedele di un vecchio campo. Un signore gentile ci racconta un po’ di storia.
Le mucche, fino a non troppo tempo fa, venivano lasciate libere di pascolare nelle infinite praterie dell’Alberta e spesso sconfinavano addirittura in Montana o nello stato canadese del Saskatchewan. I cowboy, due volte l’anno, dovevano andare a marchiare i nuovi vitelli o a raccogliere i capi che servivano per la vendita o il macello.
L’operazione era tutt’altro che facile e durava un paio di mesi, durante l’estate e fino all’autunno: partivano anche cento uomini, con diversi carri che fungevano da cucina e che rallentavano gli spostamenti, ma erano assolutamente necessari.
Si viaggiava poche ore al giorno perché prima di partire si doveva smontare tutto il campo, cosa non semplice, e poi prima del tramonto tutto doveva essere rimontato – non esistevano le torce portatili e le tende che si montano in pochi minuti – e bisognava avere più cavalli a testa per poter andare a recuperare tutte le mucche ed i vitelli. Ci racconta, infatti, che una mucca particolarmente testarda poteva facilmente stancare un cavallo.
Pieni di belle storie in testa e con un caldo caffè tra le mani, saltiamo sul carro che ci riporta all’entrata, affascinati da questo modo di vivere così diverso ed impensabile per noi.
Ci godiamo lo spettacolo di tutte le casette dall’alto della piccola collina e poi è ora di rimettersi in macchina. Ma non per molto, infatti, arrivati a Longview, sulla strada per Calgary, un saloon attira la nostra attenzione e le nostre pance vuote.
La scelta non potrebbe essere migliore. Oltre ad un ottimo panino pieno di strisce di carne immerse nella salsa barbecue, gli affezionati clienti della domenica – come ci viene spiegato – ci rallegrano con delle ottime canzoni country: c’è la signora, nonchè cantante solita esibirsi in questo locale, che dirige il gruppo di uomini di tutte le età, dall’anziano nonno al giovane ragazzo, insomma, qui la musica è una tradizione che si tramanda di padre in figlio.
Buon appetito a tutti!
Poi è ora di tornare a casa, direzione nord, Carstairs ci aspetta.
AP
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